Crisi economica: dal mondo del teatro arrivano proposte di risanamento della “decadence”.
UN DIBATTITO DA “ÉLITE” DEL TEATRO
di Gianmarco Ricasoli
Articoli di riferimento:
- http://www.diigo.com/annotated/d3433be1388efafa9c45cfe3a9ff32c4 (Scalfari)
- http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2009/02/teatro-basta-soldi-pubblici.shtml?uuid=fde2330e-034b-11de-8374-2dd16f080e59&DocRulesView=Libero (Bignamini)
- http://www.repubblica.it/2009/02/sezioni/spettacoli_e_cultura/spettacolo-baricco/spettacolo-baricco/spettacolo-baricco.html (Baricco)
- http://www.diigo.com/annotated/a6dbe36911220a5864c0db31a04f8307 (per un’idea del complesso)
A quanto pare la crisi economica da prurito, non solo alle tasche di chi non arriva a fine mese, ma anche a chi arriva tranquillamente, e con buona parte dei soldi guadagnati messi da parte, a fine mese. Questo non può che far piacere a noi comuni mortali che ci domandiamo quando arriveranno momenti migliori per questa nazione.
Andiamo a sfogliare un giornale o a scartabellare varie pagine internet e leggiamo questi titoli:”BASTA SOLDI PUBBLICI AL TEATRO, MEGLIO PUNTARE SU SCUOLA E TV”(Alessandro Baricco); oppure: “BASTA SOLDI PUBBLICI AL TEATRO? UNA PROVOCAZIONE CHE DIVIDE”(Paolo Bignamini); o ancora: “L’ULISSE DI DANTE E I SOLDI ALLA CULTURA”(Eugenio Scalfari).
Leggendo non ci sopraggiunge alla coscienza nient altro che l’impressione di leggere testi di un élite di persone che discute di un problema che apparentemente sembra abbracciare tutti, ma che poi sfocia anche nell’interesse personale di ognuno dei partecipanti ai dibattiti. In effetti mi chiedo: se ognuno di questi signori autori di articoli o semplicemente partecipanti al dibattito stesse difendendo una tematica per il bene comune, perché aprire un dibattito quando il risultato è solo un “botta e risposta” che si fa sempre più grande e deviato dalle intenzioni iniziali?
L’analisi accurata dei tre obiettivi del teatro che fa Baricco nel suo articolo ci sembra molto convincente: “allargare il privilegio della crescita culturale,[…] difendere dall’inerzia del mercato alcuni repertori, […] che tuttavia ci sembravano irrinunciabili per tramandare un certo grado di civiltà, […] il bisogno di avere cittadini informati, minimamente colti, dotati di principi morali saldi, e di riferimenti culturali forti.”
Tutti d’accordo sul fatto che questi siano obiettivi primari e sul fatto che vadano riletti e ricollocati nel modo corretto e nei punti adatti del presente. Così esordisce Baricco. Fino a questo punto troviamo d’accordo Eugenio Scalfari. Bignamini si pronuncia subito sul lato esplosivo e provocatorio dell’articolo di Baricco, scrivendo:”Baricco non può non sapere che un taglio siffatto porterebbe all’immediato annientamento dell’intero sistema teatrale italiano (non solo quello dei Teatri Stabili e quello pubblico in senso stretto). Quindi immagino si tratti di una provocazione al dibattito.”
Forse un eccesso di utopia (anche se smentito dallo stesso Baricco) da parte di Baricco, forse troppo il realismo economico di Bignamini. A mio avviso Scalfari è riuscito a racchiudere in un articolo i punti clou della situazione, senza voler scatenare o lanciare una bomba come Baricco, cercando di contenere i danni.
A questo punto ci rendiamo conto che le prime speranze che ci erano balenate in mente nel pensare che, persone di questo calibro, provassero un po’ di solidarietà nei confronti di questo stato, sono svanite. Abbiamo capito che lo scopo della maggior parte delle persone che sono intervenute era trovare una soluzione guardando se stessi in stile: “l’uomo è misura di tutte le cose” e misura il proprio malessere a seconda del benessere che non ha, senza misurare il proprio benessere in confronto a quello degli altri.
Tiriamo le somme. Baricco propone soluzioni alternative, quasi utopiche, Bignamini le boccia dal punto di vista economico proclamandole impossibili e Scalfari le boccia dal punto di vista del metodo e propone a sua volta un metodo di risoluzione.
Qualche riga di divagazione. Vorrei solo prendere atto che ci sono ambienti che non solo sono in pericolo, ma sono praticamente sottovalutati, sottosviluppati e invisibili agli occhi del senso comune. La situazione in cui si trova un musicista promettente, giovane e in ombra è disastrosa. Serate nei pub, lavoro a tutti gli effetti; non pagato. Falsificazione di bilanci serali per risparmiare più soldi possibili per la propria economia, così si comportano i proprietari dei locali.
Questo è l’uso che i privati fanno dei soldi per invogliare i giovani alla musica e allo spettacolo. È un miracolo se con quattro serate di due ore ciascuna, con spese di trasporto e organizzazione, locandine e pubblicità a carico di chi si esibisce, si riescono a guadagnare 100 euro ciascuno in totale. Di solito sono di meno.
Quindi mi chiedo ancora: per quale motivo gli aristocratici dello spettacolo, che “se la godono” con i loro soldi e la loro fama e il loro lavoro redditizio, adesso si ricordano della cultura per i giovani?
E con quale conoscenza dell’ambiente medio-basso dello spettacolo si può affermare che bisogna affidare tutto ai privati? Lo spettacolo muore nelle province, nei vicoli, nei pub, nelle piazze dei paesi, nei luoghi di incontro, muore nei pensieri delle persone e ci si preoccupa di teatri e di grandi show? Personalmente non me li potrei permettere perché non ho un teatro nella mia città e niente che ci assomigli e per arrivare al primo teatro a 60 km da casa dovrei dare fondo ai miei risparmi per i mezzi.
Secondo me non sono i fondi pubblici che fanno ristagnare il panorama culturale.
Secondo me sono i pensieri di chi ci sta dentro da “secoli” e si è dimenticato cosa voglia dire assistere alla morte di qualcosa in cui si crede.