Classe V A Odontotecnici
IIS Carlo Urbani
Durante il pontificato di Paolo III nel 1548 Ferrante Ruiz, cappellano di Santa Caterina della Rota, e alcuni gentiluomini spagnoli vicini a Ignazio di Loyola raccolgono poveri pellegrini a Roma in alcune case presso Piazza Colonna. Presto la loro attività comincia a rivolgersi al ricovero e all’assistenza dei “pazzerelli”, come documentato nella bolla di Pio IV “Illius qui pro dominici” dell’11 settembre 1561, che conferma la nascita della confraternita e la denominazione dell’ospedale: “Santa Maria della Pietà delli poveri pazzi”. Lo scopo della nuova istituzione è soprattutto caritativo, come attestano gli statuti del 1563 e la procedura disposta per l’accettazione di persone condotte all’ospedale dagli sbirri. Si raccomanda che i “pazzerelli” destinati al ricovero siano “con gran zelo cercati per la città”. I ricoverati sono accompagnati in giro per la città con il duplice scopo di procurar loro qualche ricreazione e di raccogliere le elemosine. L’intensificarsi dei provvedimenti di pubblica sicurezza, la lotta al banditismo, all’eresia e alla stregoneria, l’imperversare delle carestie che caratterizzano la fine del Cinquecento e che avranno nel corso del Seicento le loro risposte istituzionali, trasformano il ricovero dei pellegrini e dei pazzerelli in una struttura sostanzialmente reclusiva, legata molto più alle necessità d’ordine pubblico che non all’esercizio della carità. Nel 1635 l‘ospedale viene affidato a una Congregazione retta da un prelato e governata da otto gentiluomini eletti dal Cardinal protettore. Il Cardinal Francesco Barberini detta le nuove regole: molti ricoverati sono custoditi in catene o in stanze cosiddette “della paglia”: viene istituzionalizza la figura del “maestro dei pazzi”, che per 15 Giulii al mese “a cura dei pazzi e tiene ciascuno nel modo adatto” portando con se il “nerbo solito”, da usare con “carità e discretezza”. Alcuni ricoverati devono pagare una retta stabilita volta per volta dalla Congregazione. L’istituto si orienta alla reclusione dei “malati”, come stabilito nelle “Regole” dell’ospedale: “L’esser pazzo si intende che faccia pazzie formali, come di dare o di gridare di continuo senza casa, buttar via robba o simili; e non di ogni poco di perturbazione di mente, come di essere un poco scemo o di parlare alle volte allo sproposito, perché l’ospedale deve ricevere solo quelli che non possono stare altrove senza gran danno del prossimo”. Si nota inoltre che “…ordinariamente il numero delle donne è poco…perché per lo più danno in pazzia di scemo e non di furioso onde di dette pazze si può servire ad ogni bisogno senz’accrescer spesa all’ospizio”. Il trasferimento dell’ospedale da piazza Colonna a via della Lungara sarà l’inizio di un lungo periodo di decadenza che perdurerà fino alla metà del secolo successivo. I locali non bastano né per i servizi né per i dementi che passano dai 140 dell’inaugurazione ai 500 del 1850 e la sede di via della Lungara rimarrà ancora per un centinaio di anni un luogo desolante, sovraffollato e inadeguato. Con l’occupazione francese e il periodo napoleonico si comincia a sottolineare il carattere medico e ospedaliero dell’istituzione rispetto a quello di un luogo di reclusione. A questo periodo risalgono le prime storie cliniche dei ricoverati di cui abbiamo traccia nell’archivio: elenchi in cui, per ciascuno di ricoverati, figurano delle annotazioni di tipo medico-psicopatologico. Nel 1908 hanno inizio i lavori di costruzione del nuovo ospedale psichiatrico a Monte Mario. La scelta dell’area, della quale si sottolineano i requisiti igienici, è un segno della progressiva emarginazione del malato di mente dal suo contesto cittadino e familiare. Il 14 febbraio 1904 la nuova legge “Disposizione sui manicomi e sugli alienati”, tra l’altro, introduce la trascrizione dell’internamento in manicomio sul Casellario giudiziario, la cui prima conseguenza consiste nella perdita dei diritti civili. La nomina di Giovanni Mingazzini a direttore del manicomio sancisce il passaggio da una psichiatria ausiliaria, di “ricovero”, a una psichiatria neuropatologia. Il proliferare di moduli per ogni movimento relativo al ricoverato segnala la formalizzazione e la “prevedibilità” di ogni percorso clinico. La cartella clinica si compone di sezioni che tendono a cogliere dati “oggettivi” come l’esame clinico generale, l’esame psichico e l’esame antropologico. A Mingazzini succede A. Giannelli, molto attivo nel periodo fascista, in cui la propaganda sollecita la crescita vorticosa delle strutture manicomiali capaci di ospitare qualsiasi tipo di emarginazione. In questi anni S. Maria della Pietà, creato pochi decenni prima per circa un migliaio di persone, ospita fino a 3000 ricoverati e cominciano ad attrezzarsi ricoveri per fanciulli. Nel 1933 è organizzato un podere per i malati con esperienze di lavoro agricolo e uno stabilimento zootecnico. Nel 1927 Giannelli istituisce nell’ospedale un centro di malarioterapia, che opererà su tutto il territorio nazionale fino al 1956. Nel secondo dopoguerra nella psichiatria italiana persistono concetti come “psichiatria morale”, “degenerazione mentale” ed è in auge la tesi antropologico-criminale della delinquenza come espressione di una anomalia biologica. La diffusione in Italia degli psicofarmaci, avviata nel 1952, non riesce a soppiantare l’uso dell’elettroshock, ma negli anni ‘60 si comincia a indicare la necessità di potenziare i servizi psichiatrici extra-ospedalieri per offrire una continuità terapeutica ai pazienti. Negli stessi anni un gruppo di giovani psichiatri italiani – tra cui Basaglia, Borgna, Galli, Napoletani e Piro – nel quadro delle spinte di rinnovamento proprie di questo periodo, si batte contro la disumana condizione dei grandi manicomi italiani e ne chiede la chiusura, con il conseguente passaggio a forme di intervento e di assistenza extra-muraria. Il 13 maggio 1978, dopo oltre dieci anni di incessante dibattito e di continua denuncia dell’anacronismo e delle gravi distorsioni del sistema psichiatrico italiano, viene emanata la legge n. 180 “Dei trattamenti sanitari volontari e obbligatori” che abroga la legge del 1904: è l’inizio di un nuovo percorso che porterà nel febbraio del 1999 al definitivo superamento degli ospedali psichiatrici. L’antico “ospedale dei pazzerelli” trova, dopo 450 anni di storia, la sua fine.